Ciao, sono Fabrizia Ieluzzi e da oltre 12 anni guido wonder women e wonder men a rimettersi al primo posto e a smettere di accontentare tutti fuorché se stessi.
Sono un po' fuori dagli schemi, allergica ai paroloni americani che fanno tanto figo e ai "se vuoi puoi" che vanno tanto di moda tra i miei colleghi.
Vivo in famiglie allargate da oltre 20 anni, sono fanatica di talent show, adoro guardare "C'è posta per te" e bevo il caffè solo se ha lo zucchero. Uso pennarelli colorati e carta per spiegarti le cose, rispondo sempre ai tuoi messaggi, dico troppe parolacce e sono brava a farti ridere.
Essere coach per me è un modo per fare spazio, ascoltare, comprendere e dare valore.
Chi sono oggi inizia da questa bambina silenziosa e riservata, piena di complessi, cresciuta con la SMANIA di dover essere perfetta e con la sensazione di non essere mai abbastanza. Mi sono sentita così per anni, mai all'altezza e sempre impegnata dimostrare di valere e di saper fare. Mi sono autosabotata in ogni relazione, partendo da quella più importante: quella con me stessa.
Ma ho sempre saputo chi volevo essere. Parlo di valori, di ciò che ti rende davvero felice, di quello che ti fa dire "ecco perché sono al mondo". Così dopo 20 anni di vita a incastri, in cui i sacrifici pesavano sempre più dei risultati, ho preso LA decisione che ha cambiato la mia vita.
Ho preso tutto ciò che avevo imparato, tutto ciò che sapevo fare meglio, ho aggiunto corsi e studio e gli ho dato una connotazione nuova. Umana. Libera. Piena di passione e di cose che mi somigliavano e che sapevano di buono. Ho permesso a me stessa di essere autenticamente umana, solida, credibile e finalmente con tanto cuore.Ho alzato il volume della mia voce e silenziato quello di chi giudicava.E sono diventata la guida a cui io stessa mi sarei affidata.
Da bambina il mio sogno era insegnare. Passavo i miei pomeriggi a fare finta di essere in classe a spiegare non so bene cosa!
Sapevo solo che avrei fatto in modo che tutti capissero e che nessuno restasse indietro. Retaggio del fatto che io ero perennemente indietro: avevo difficoltà ad apprendere alla stessa velocità e con la stessa facilità degli altri. Mi sentivo stupida perché perdevo informazioni preziose che i miei compagni non solo capivano al volo, ma erano in grado di mettere subito in pratica. Non ero capace di prendere appunti perché o ascoltavo o scrivevo e la mia attenzione aveva una soglia bassissima.
Avevo parecchi problemi con i numeri e i miei scritti erano delle gigantesche supercazzole. In compenso però tutti i miei insegnanti dicevano che erano sempre ben scritte e ben raccontate.
Con questi presupposti alla fine del liceo avevo maturato l'idea di voler diventare giornalista. Negli anni '90 non c'erano facoltà universitarie specifiche, potevi laurearti in lettere o storia o scienze politiche ma poi il "lavoro da giornalista" te lo dovevi costruire. Quindi gavetta gavetta gavetta. A 20 anni ho iniziato a bussare a chiunque potesse avere "roba da scrivere", mi offrivo di preparare il caffè e fare lavori di segreteria pur di stare lì ad osservare, ascoltare, provare a scrivere: agenzie di pubbliche relazioni, piccole case editrici, giornali di quartiere.
Con un po' di faccia tosta e la classica "fortuna che aiuta gli audaci" scrissi qualche articolo per Il Giornale e subito dopo riuscii ad entrare come cronista a Telenova. Mi feci le ossa al TG quel tanto che mi bastò a capire che non era quello il giornalismo che volevo fare. La radio era decisamente la mia casa: niente distrazioni visive, solo voce, ritmo, contenuto. Prima RTL 102,5 poi Radio Lombardia. Orari indecenti ma quanto stavo bene mamma mia!
Poi arrivò l'amore e la scelta di mettere su famiglia che poco si sposavano con quegli orari. Allora finii per lasciare spazio all'altra mia passione: la politica, diventando prima portavoce poi capo di gabinetto in Comune.
Quei 10 anni di lavoro in politica da dietro le quinte, a risolvere, trovare strategie, chiudere accordi, gestire casini, mi avevano letteralmente consumato. Io che poco tolleravo l'idea di non avere potere sulla mia vita, mi ritrovavo alla fine di ogni incarico a non sapere cosa ne sarebbe stato di me (la durata degli incarichi è legata alla politica, nda).
Non avevo tempo per stare con mio figlio e in nome dei cosa? Di qualcosa che da passione si era trasformata in un inferno.
Allora mi fermai e mi chiesi cosa mi avrebbe reso felice davvero. Inutile dirti che al primo posto c'era mio figlio: volevo godermi le merende, volevo andare a prenderlo a scuola, volevo esserci.
Subito dopo c'erano le persone, sì perchè parte del mio lavoro in quegli anni mi aveva insegnato a leggerle, tradurle, ascoltarle, aiutarle.
Ecco, era esattamente quello che volevo fare. Feci una check list su ciò che sapevo e ciò che invece dovevo ancora studiare e... il resto è storia!
Autrice e Scrittrice, Esperta di Storytelling, Narratrice e Docente di EmpatEasy® Academy
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